venerdì 5 giugno 2009

Prendo un Berlusconi anche io, grazie

Mia nonna è convinta che se avesse un problema e lo esponesse, attraverso missiva, a Berlusconi, godrebbe non solo di una risposta, ma anche di un appoggio nella risoluzione della questione che la preoccupa. Nonostante sia la persona che meno verrebbe da immaginare vicina ai problemi della gente, Berlusconi ha avuto la capacità di instillare in chi lo segue la certezza che lui sia uno del popolo, uno a cui poter scrivere o telefonare se tuo nipote non riesce a trovare lavoro. E questa capacità, almeno in me, suscita molta curiosità (anche un po’ di fascinazione, ma soprattutto curiosità). La stessa, con le dovute distinzioni, che in me ha generato la lettura dei romanzi di Moccia. Perché se così tanti ragazzi sentono che un signore di cinquant’anni dotato di un cattivo gusto superiore alla media (che sceglie di usare la prima persona quando scrive un romanzo che ha per protagonista una quattordicenne, con l’unico risultato di dar vita a una creatura leggendaria che parla di primi amori con la stessa freschezza e credibilità di un giornalista del tg1 che parla di social network) ha qualcosa da dirgli e quel qualcosa loro possono (e vogliono) capirlo, qualche domanda occorre farsela. Soprattutto se per mestiere si scrive e non si ha come obiettivo urlare slogan da un pulpito, ma farsi ascoltare e capire. E magari provare anche a darsi delle risposte cercando di attraversare osservazioni leggermente più complesse de “I ragazzi sono stupidi perché guardano il Grande Fratello, invece di andare al cinema a vedere un buon film, ohibò.” 

Ma quello a cui penso oggi, prescindendo dalla concreta possibilità che se mia nonna scrivesse a Berlusconi, riceverebbe una risposta, è questo: quanto deve essere bello dare il proprio voto a qualcuno in cui si ripongono fiducia e speranza? Sono dieci anni che voto, non ho mai considerato la possibilità di non farlo, nonostante fra me e il voto spesso ci fossero viaggi lunghissimi di panini bottigliette d’acqua leggermente gassata, vanitifer, poche speranze che il mio voto servisse e consapevolezza che, qualora invece fosse servito, allora erano cazzi. Ho il diritto di votare, l’ho sempre esercitato e tornerò a farlo. Ma questa volta no. Questa volta rimango a milano e passo il sabato a visitare la pinacoteca facendo la turista. E sento anche un certo orgoglio banale che mi friccichia addosso, come fossi nella pubblicità l’oreal e dicessi, guardando in camera, Perché io valgo. Ho il diritto di votare e blablabla, ma - è cosa scontata - ho anche il diritto di votare per qualcuno perché voglio che quel qualcuno mi rappresenti: parli di me, con me, per me. Non perché sono costretta a scegliere il male minore, purché quello se ne vada a casa, in un eccetera eccetera di motivi unidimensionali che sviliscono il valore del mio voto e la mia capacità di distinguere quello che per me è il bene. Lontano da tutte quelle cosine pratiche di tasse e leggi e cicicì micragnoso a cui poi tornerò a  pensare, oggi mi fermo solo a dire che per una volta, vorrei anche io poter votare per qualcuno in cui ho fiducia, qualcuno a cui, se ne avessi bisogno, scriverei una lettera, sicura di essere ascoltata, capita e, forse, ma non è quello l’importante, aiutata.

Voglio un Berlusconi anche io,

possibilmente che usi la parola piccante solo quando parla di salame da mettere sulla pizza, perché se no mi fa impressione. E che non dica giuovani, come fossimo nel 1800 o in una televendita delle pellicce a pelli intiere di simonetta ravizza condotta da Mike.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Era bello se c'eri.